Con il termine mobbing si intendono tutta una serie di comportamenti ostili messi in atto all’ interno del contesto lavorativo da una o più persone in maniera sistematica verso un’unica vittima. Questi comportamenti sono ripetuti e protratti nel tempo e provocano nella vittima una situazione di disagio tale per cui le è spesso impossibile difendersi.

Il fenomeno è attualmente ancora in cerca di una definizione univoca e distaccata da quella di bullismo. In tanti casi, infatti, ancora si parla di “bullismo sul posto di lavoro” accostando due fenomeni che in realtà non solo hanno cause, ma anche sviluppi piuttosto distinti. La caratteristica principale che distingue il mobbing dal bullismo è l’assenza di violenza fisica nel primo; infatti il mobbing sebbene possa essere considerato una forma di bullismo per i comportamenti piuttosto simili che il gruppo o il persecutore mettono in atto nei confronti della vittima, in realtà questi non includono mai comportamenti fisicamente violenti, quanto piuttosto tutta una serie di sofisticati e ben orchestrate strategie per mettere a disagio la vittima e distruggere la sua immagine professionale. Nel prossimo capitolo vedremo accuratamente in che modo queste strategie vengono impostate e messe in atto.

Cenni storici

Il primo ad utilizzare la parola “mobbing” fu Konrad Lorenz all’interno dei suoi studi di etologia per definire una serie di comportamenti messi in atto da alcuni animali più piccoli e in gruppo, nei confronti di un singolo animale più grande. Successivamente il termine fu utilizzato in ambito psicologico in Svezia dal dottor Heinemann: questa fu la prima volta che questa espressione fu utilizzata, sebbene erroneamente, per gli esseri umani. Con l’espressione mobbing, Heinemann infatti voleva descrivere il comportamento distruttivo di un gruppo di alcuni bambini nei confronti di un singolo bambino durante le ore di lezione a scuola. In questo caso la definizione cominciò ad avvicinarsi a quella dei giorni nostri, in quanto fu utilizzata in ambito relazionale e interattivo piuttosto che puramente comportamentale ed etologico.

Il primo utilizzo chiaro e mirato del termine mobbing per indicare l’effettivo fenomeno ci fu solo negli anni Ottanta. Fu Heinz Leymann a scegliere di usare la parola “mobbing” invece delle espressioni più relative al bullismo, tipiche del contesto anglosassone e di quello australiano, per descrivere una serie di comportamenti a cui deciderà poi di dedicare la sua carriera. Si trattava di comportamenti vessatori e ostili presenti nel contesto lavorativo da parte spesso di gruppi interi di lavoratori, piuttosto che singoli, nei confronti piuttosto di un singolo lavoratore. Diversamente però dall’ampiamente diffuso fenomeno del bullismo, questi comportamenti non erano connotati da aggressione fisica e/o minaccia quanto piuttosto da una serie di azioni più sofisticate e mirate come, ad esempio, la messa in atto dell’isolamento sociale della vittima. Ciononostante, gli effetti deleteri e distruttivi sulla vittima non risultavano minori rispetto a quelli conseguenti i fenomeni di bullismo già denotati nel contesto anglosassone.

Considerando questa differenziazione, una recente Consensu Conference del 2001 ha quindi cercato di delineare meglio il fenomeno del mobbing nei termini di “molestia o violenza psicologica” messa in atto con la finalità di ledere in maniera reiterata la persona escludendola fisicamente o moralmente dal contesto lavorativo.

La recente, sebbene piuttosto esigua, letteratura relativa al fenomeno del mobbing ha cercato di fare il punto su quanto si sa ad oggi effettivamente di questa serie di comportamenti presenti nel contesto lavorativo e si è riscontrato che molte ricerche sono ferme ancora sugli stessi punti interrogativi da circa un decennio, ovvero:

  • Il mobbing è un fenomeno che non è stato ancora chiaramente definito
  • Non esiste una definizione unitaria di mobbing in quanto alcune ricerche si sono concentrate piuttosto sulla psicopatologia della vittima e su tutti i sintomi ad essa associata, altresì sono occupate invece delle relazioni amicali e lavorative disfunzionali create da chi mette in atto comportamenti di mobbing
  • Attualmente non esistono ancora tecniche e strumenti validi in grado di valutare il mobbing con criteri stabili nei diversi contesti lavorativi in cui questo si presenta
  • Si concorda però sul fatto che si tratti di un nuovo rischio per la salute e la sicurezza sul posto di lavoro
  • Quello che però non è stato ancora definito sono i meccanismi di reazione fisiologica e psicologica che la vittima si ritrova a mettere in atto quando subisce questa serie di comportamenti vessatori e chiaramente questo non permette di operare adeguatamente sul fenomeno in termini di supporto vittime
  • Il contesto ospedaliero, secondo alcuni autori, presenta tutta una serie di aspetti che purtroppo favoriscono la comparsa di questo effetto
  • La comparsa del fenomeno è favorita dalla presenza nel contesto lavorativo di una struttura rigida e verticale in cui viene richiesta una rigorosa obbedienza tra i diversi livelli gerarchici e in cui i lavoratori sono sottoposti ad alti livelli di pressione e stress

Un altro aspetto fondamentale del fenomeno da sottolineare è la sua dipendenza tutta una serie di fattori contestuali. Il mobbing infatti è estremamente soggetto alle socio culturali ed i valori predominanti all’interno di un determinato contesto, quindi può ad esempio variare anche da stato a stato sulla base delle istituzioni che ne supportano o contrariamente contrastano la proliferazione e le tendenze a questo genere di condotte all’interno dei diversi contesti lavorativi, varia quindi anche in base alla punibilità istituzionale, alla presa in carico del fenomeno e alle operazioni di prevenzione messe in atto. Al contempo, all’interno di uno stesso contesto, come quello italiano, questo varia enormemente a seconda che si parli di una realtà lavorativa piuttosto che un’altra perché dipende anche da fattori come il clima che si respira in una determinata azienda e la facilità con cui è possibile creare reti e contatti sociali che possano supportare eventualmente la vittima, o al contrario avvalorare gli effetti stessi del fenomeno.

Sfortunatamente per chi studia il mobbing e lo tratta nelle aziende, così come per chi gestisce un luogo di lavoro e le diverse risorse umane da cui questo è costituito, si ha a che fare con un fenomeno molto sottile che spesso passa in sordina, specie nei contesti lavorativi molto ampi in cui il numero di lavoratori è estremamente elevato e diventa difficile monitorale la rete relazionale e gli eventuali rapporti conflittuali che possono istaurarsi tra i vari dipendenti.

Secondo GailPursell Elliott, una consulente del lavoro che si occupa da anni del fenomeno del mobbing all’interno del contesto statunitense, in realtà esistono degli indicatori molto sottili che permetterebbero a professionisti come lei di individuare rapidamente i possibili rischi di mobbing all’interno di una azienda. Ve ne riportiamo alcuni:

  1. Perdita improvvisa dell’azienda di individui con ruoli fondamentali. Quando in una azienda si verificanole dimissioni improvvise e spesso ingiustificate di personale con ruoli di grande rilievo e a cui era stato dato un massiccio carico di responsabilità si ha a che fare con un importante campanello di allarme che può andare oltre il semplice stress lavorativo.
  2. Tasso insolitamente elevato di turnover del personale in una o più aree o in tutta l’azienda.

Un contesto lavorativo in cui c’è un continuo cambiamento delle figure professionali nasconde qualcosa che può andare oltre probabili illeciti e spostarsi piuttosto sul piano relazionale.

  1. Aumento dei permessi per malattia da parte dei lavoratori. Sicuramente è un tipo di richiesta che dipende molto dal singolo e dalla sua salute, ma laddove si verifica in maniera ripetuta anche in modalità non giustificate da uno o più lavoratori soprattutto si ha a che fare con un segnale di scarso benessere all’interno dell’azienda. Un lavoratore che richiede dei giorni di malattia per potersi assentare spesso da lavoro è un indice del fatto che quel contesto lavorativo effettivamente non lo fa stare bene.
  2. Girando in azienda si percepisce globalmente un clima cupo e un basso morale che non è associabile ad un evento o ad un singolo episodio. Si tratta di un clima che si respira pesantemente tutti i giorni in azienda, è quando non si coglie l’entusiasmo per il lavoro e il benessere dipinto sui volti dei dipendenti.
  3. Oltre a notare il malessere generalizzato, si vedono gli impatti anche sulla produzione di una azienda, sia in termini qualitativi e che quantitativi. È chiaro che quando ci sono spesso assenze da parte del personale, la produzione cala numericamente parlando. Similmente, se i lavoratori sono poco motivati e lavorano perché devono, dal punto di vista qualitativo anche si va in contro ad un calo.
  4. La tensione tra dipendenti è palpabile ed evidente. È facile notare rapporti spiacevoli nel modo in cui i dipendenti si relazionano tra loro, dal tono di voce usato, dalla gestualità con cui ci si passa le cose e semplicemente dal linguaggio del corpo che questi mettono in atto nei momenti in cui è necessario relazionarsi a capi e colleghi.
  5. La presenza di ripartizioni delle comunicazioni e del lavoro di squadra. Quando determinati compiti vengono distribuiti piuttosto che affidati a singole figure, questo è indice o di una scarsa fiducia nelle singole figure da parte di chi sta ai vertici (e già questo di per sé è indicativo del malessere di un contesto lavorativo) o dell’impossibilità di affidare determinati incarichi ai singoli perché è qualcosa che genere astio e competizione nel contesto come le esperienze pregresse avranno insegnato.
  6. Faziosità. Se in una azienda ci sono personalità di spicco ma prive di leadership che impongono le proprie idee e trattano gli altri sulla base di una distinzione tra “seguaci” e non, quell’azienda ha un problema.
  7. La presenza di consulenti esterni. Similmente al punto 7, è indice di una scarsa fiducia nel personale interno, altrimenti non si ricercherebbero figure al di fuori dell’azienda che rappresentano per l’azienda un’ulteriore spesa­.
  8. Maggiori richieste da parte del personale di assicurazione per la disoccupazione. Questo dovrebbe lasciar presagire che c’è la necessità da parte del personale di avere a disposizione un’ancora di salvezza perché l’aria che si respira in azienda non è delle migliori.
  9. La presenza elevata di stress lavoro correlato. Questo è un indice che vedremo meglio più avanti, con tutti i sintomi ad esso associati.
  10. Improvvise prestazioni scadenti da parte di personale estremamente qualificato e il cui rendimento precedente è sempre stato premiato e acclamato come esemplare e ben al di sopra della media. Qualcosa è successo e questo qualcosa non è riconducibile a situazioni personali o familiari del dipendente, come può essere la nascita di un figlio o la malattia di un familiare.

Chiaramente si tratta sempre di piccoli campanelli di allarme che possono variare ampiamente da contesto lavorativo a contesto lavorativo. Ad esempio, è difficile che si verifichino chissà quali ripartizioni in un’azienda familiare che consta pochi dipendenti e in qual caso il conflitto sarebbe più di tipo familiare che professionale e gestito quindi in altri termini a partire da cause differenti da quelle che insorgono nel caso del mobbing. Diversamente, è più comune che aziende multinazionali o con più sedi si affidino spesso a collaboratori esterni anche semplicemente perché non è possibile la presenza della stessa figura in tutte le sedi dislocate sul territorio.

Inoltre, come dicevamo, il mobbing può dipendere da tanti fattori e verificarsi in diverse forme. Un aspetto chiave da considerare e che dipende spesso proprio dalle dimensioni dell’azienda è la direzione del fenomeno:

  • Parliamo di mobbing orizzontale, quando questo viene messo in atto tra dipendenti di pari grado, essenzialmente tra colleghi che hanno quindi mansioni simili o non ma comunque lo stesso valore all’interno di quel contesto lavorativo.
  • Parliamo invece di mobbing verticale, quando si verifica all’interno di una gerarchia, in un dislivello di potere e questo può essere:
    • mobbing ascendente quando ci riferiamo a quello esercitato dal sottoposto o dai sottoposti verso un superiore di grado, il capo o comunque figure più potenti.
    • mobbing discendente quando ci riferiamo a quello esercitato invece dal superiore o superiori verso il lavoratore subordinato. Chiaramente questo secondo caso è molto più frequente e plausibile del primo e presto vedremo meglio il perché.

Per molti, quando si parla di mobbing, si tende ad intenderlo solo in senso verticale. Quindi si immagina magari un capo che si mostra ostile nei confronti dei sottoposti o rende loro la vita impossibile.

Un lavoratore che si trova a dover portare i caffè o fare le fotocopie pur essendo qualificato su carta, viene dipinto davanti ai colleghi come un’incapace o come qualcuno che non merita la sua posizione e per questo degradato. Alle volte le mansioni affidate alla vittima possono essere estremamente pericoli o umilianti e il mobber potrebbe decidere di metterli in atto unicamente per punire in qualche modo la vittima.

Altri comportamenti manipolatori da parte del mobber, intesi anche più facilmente in senso orizzontale, sono quelli che mirano a distorcere la reputazione di un collega a lavoro diffamandolo attraverso offese, pettegolezzi, pubbliche umiliazioni e derisioni circa le opinioni, l’aspetto o il modo di essere della vittima. Un esempio classico sono i commenti sul posto di lavoro circa la scarsa igiene di un collega, o per esempio i possibili commenti omofobi o più in generale circa le preferenze sessuali della vittima.

Infine, un ultimo tipo di comportamenti di mobbing, forse il più deleterio, sono quelli che agiscono sul piano comunicativo e, inevitabilmente, sulle reti sociali della vittima. Il mobber cerca di rendere negativa la vittima davanti agli altri colleghi con una serie di comportamenti assimilabili al terrorismo psicologico, in cui questa può subire comportamenti estremamente aggressivi sul piano comunicativo (come urla, rimproveri animosi, critiche, insulti) o, all’altro estremo, limitazioni esagerate delle comunicazioni laddove queste sarebbero necessarie. Pensate che parliamo comunque di un contesto lavorativo e non di uno amicale. Due persone sono nello stesso posto e passano del tempo insieme non perché hanno piacere di farlo, ma perché devono: questo significa che per contratto sono obbligati ad avere a che fare l’un con l’altro, a comunicare tra di loro anche solo per scambiarsi informazioni necessarie alla riuscita del lavoro. Immaginate se in un contesto del genere il mobber decidesse di interrompere le comunicazioni con la vittima o di ignorarla come se non fosse nemmeno presente nella stanza anche quando questa ricerca direttamente il dialogo.

I possibili comportamenti di mobbing sono innumerevoli e dipendono molto da contesto a contesto. Per questa ragione, alcuni autori, come nel caso di Leymann, hanno raccolto la maggior parte di questi comportamenti (ben 45) in una raccolta che vi riproponiamo: “Leymann Inventory of PsycologicalTerrorism” (L.I.P.T.)

I comportamenti qui descritti sono raggruppati in cinque categorie distinte

1.Limitazioni sulla possibilità di comunicare

  • Vengono limitate dal capo le possibilità di esprimersi della vittima;
  • il soggetto viene sempre interrotto quando parla;
  • i colleghi limitano le sue possibilità di esprimersi;
  • si urla con lui o lo si rimprovera violentemente;
  • si fanno al soggetto critiche continue sul lavoro;
  • si fanno critiche continue sulla sua vita privata;
  • il soggetto è vittima di telefonate mute o di minaccia oppure di minacce verbali o scritte;
  • si rifiuta al soggetto il contatto con gesti o sguardi scostanti;
  • gli si rifiuta il contatto con allusioni indirette.
  1. Attacchi alle relazioni sociali
  • Non si parla più al soggetto;
  • non gli si rivolge più la parola;
  • viene trasferito in un ufficio lontano dai colleghi;
  • si proibisce ai colleghi di parlare con lui;
  • ci si comporta come se lui non esistesse.
  1. Attacchi all’immagine sociale
  • Si parla alle spalle del soggetto
  • si spargono voci infondate sulla vittima
  • si ridicolizza la vittima
  • si sospetta il soggetto di essere malato di mente e/o si cerca di convincerlo a sottoporsi a visita psichiatrica;
  • si prende in giro un handicap fisico del soggetto oppure si imita il suo modo di camminare o di parlare per prenderlo in giro;
  • si attaccano le opinioni politiche o religiose della vittima;
  • si prende in giro la vita privata o la sua nazionalità;
  • lo si costringe a fare lavori umilianti;
  • si giudica il suo lavoro in maniera sbagliata ed offensiva;
  • si mettono in dubbio le sue decisioni;
  • gli si dicono parolacce o altre espressioni umilianti;
  • gli si fanno offerte sessuali, verbali e non.
  1. Attacchi alla qualità della situazione professionale e privata
  • Non gli si danno più al soggetto compiti da svolgere;
  • gli si toglie ogni tipo di attività lavorativa, in modo che non possa più nemmeno inventarsi il lavoro;
  • gli si danno lavori senza senso;
  • gli si danno lavori molto al di sotto della sua qualificazione professionale;
  • gli si danno sempre nuovi compiti lavorativi;
  • gli si danno lavori umilianti:
  • gli si danno compiti molto al di sopra delle sue capacità o qualificazioni per screditarlo
  1. Attacchi alla salute
  • Si costringe il soggetto a fare lavori che nuocciono alla salute;
  • lo si minaccia di violenza fisica;
  • gli si fa violenza leggera (per es. schiaffo) per dargli una lezione;
  • gli si fa una violenza fisica più pesante;
  • gli si causano danni per svantaggiarlo;
  • gli si creano danni fisici sul posto di lavoro;
  • gli si mettono le mani addosso a scopo sessuale

La maggior parte degli autori, concorda con l’idea che chiunque può essere vittima di mobbing e che sebbene siano le reazioni della vittima possano in qualche modo limitare o al contrario incrementare il fenomeno, i comportamenti di mobbing si presentano indipendentemente da quelli della vittima e dalle caratteristiche stesse del lavoratore preso di mira. Nonostante ciò, esistono comunque in letteratura, autori come Brigitte Huber(1994), che per esempio, hanno cercato di definire quali sono i lavoratori più plausibilmente a rischio.

Nello specifico, secondo l’autrice i lavoratori che sono più soggette a maltrattamenti nel contesto lavorativo sono quelli che si ritrovano in determinate situazioni come:

  1. L’assenza di un team a supporto del lavoratore. Molto spesso infatti, è stato visto come la maggior parte delle vittime di mobbing siano quegli individui che lavorano da soli e che non hanno una rete di colleghi che dipendono dalla sua riuscita e che lo stimano e lo supporto. Ancor più comune nel caso di donne.
  2. La presenza di diversità. Un lavoratore portatore di handicap o comunque diversamente abile, lavoratori provenienti da contesti etnici minoritari o anche solo semplicemente da contesti diversi (come ad esempio il lavoratore del sud Italia che comincia a lavorare in una importante e ampia azienda Milanese) sarebbero tutte categorie di lavoratori maggiormente soggette ad attacchi di tipo personale.
  3. Il successo. Il lavoratore che riceve premi e incarichi di prestigio inevitabilmente tende a circondarsi anche dell’invidia e della frustrazione da parte di altri colleghi. Questi sentimenti come abbiamo visto sono spesso alla base di comportamenti ostili.
  4. L’ultimo arrivato. Il lavoratore che arriva da un’azienda diversa o che si sta affacciando adesso per la prima volta nel mondo del lavoro, dato che chi si inserisce in un contesto lavorativo in cui gli altri lavoratori formano ormai da molto tempo già un gruppo unico o all’interno del quale si sono già formate delle coalizioni, mostra spesso qualche problema in più nel farsi accettare come parte del team.

Tutte queste categorie di lavoratori che si trovano spesso a fronteggiare già di per sé situazioni ostili, secondo l’autrice, possono più facilmente di altri incorrere nel rischio di diventare vittime di mobbing, con conseguenze non poco gravi su diverse spere della propria vita. Subire attacchi di mobbing infatti va ad intaccare:

  • le possibilità della vittima di comunicare adeguatamente con i propri colleghi in quanto molto spesso subiscono attacchi verbali o vengono sottoposti all’isolamento sociale. Questo genere di comportamenti fa sentire le vittime come non solo poco apprezzate, ma anche poco volute e disprezzate all’interno del contesto lavorativo.
  • Conseguenzialmente diminuiscono notevolmente anche le possibilità di mantenere rapporti sociali all’interno del contesto lavorativo e non raramente anche al di fuori di esso. Questo dipende proprio dalla manipolazione che fa il mobber della reputazione della vittima e dell’idea che gli altri hanno di lei per fa sì che questa venga appunto isolata.
  • Quindi, vengono meno anche le possibilità di mantenere una buona reputazione personale e professionale, e questo dipende appunto dal fatto che circolano sul conto della vittima una serie di dicerie che per quanto possano essere infondate, il fatto stesso che vengano ripetute e conosciute da più colleghi le rende in qualche modo veritiere proprio perché condivise.
  • Infine, ci sono degli effetti ovviamente anche sulle possibilità e sulle prestazioni lavorative, non si tratta solo dell’incapacità psicologica della vittima di gestire la tensione e lo stress accumulati ma molto spesso lo si intende anche come tendere a non assegnare lavori di responsabilità alla vittima
  • Ultimo, ma non per importanza sono le possibilità di benessere psico-fisico. Infatti, sono innumerevoli gli effetti del mobbing sulla salute fisica, e molto spesso sono dovuti anche solo semplicemente all’assegnazione di lavori pericolosi, di carichi di lavoro eccessivi o di richieste di straordinario.

Tutta queste limitazioni e conseguenze su diversi piani della vittima ne vanno ad intaccate soprattutto quest’ultima relativa al benessere psico-fisico. Demirag e Ciftci(2017) hanno infatti riportato come numerosi lavoratori che hanno subito mobbing non di rado sul posto di lavoro scoppino in improvvisi pianti, manifestino perdita di concentrazione, rabbia e stress che li portano spesso ad allontanarsi da posto di lavoro richiedendo una malattia, autocausandosi una sospensione ed arrivando fino al licenziamento. I risvolti psicologici possono poi essere pesanti non solo per l’impossibilità di lavorare e mantenersi, ma anche per il trattamento subito.

In conclusione, è necessario sottolineare come questa condizione possa sfociare in un ciclo infinito di mobbing. Il lavoratore vittima, in risposta al torto subito e all’ allontanamento forzato da lavoro potrebbe manifestare altresì condotte violente da parte della vittima contro terzi o contro poi nuove vittime a loro volta delle prime. È importare capire come il mobbing rappresenti un circolo vizioso in cui non vince nessuno e le perdite sono riscontrabili sia per le vittime che per chi mette in atto il mobbing. Si tratta di un fenomeno che di per sè provoca importanti perdite di produttività, lavoro e tempo sia per i trasgressori che per le vittime. Inoltre, innesca nuovamente il conflitto e disaccordi tra lavoratori e dirigenti e c’è persino un’alta probabilità di danneggiamento della reputazione del posto di lavoro in caso di divulgazione degli episodi di mobbing.

L’aspetto forse più negativo delle ripercussione che il fenomeno di mobbing ha sulla vittima riguarda soprattutto il piano psicologico. Il subire ripetutamente insulti, violenza psicologica ed essere sottoposti a compiti degradanti porta con sé una emotività negativa con cui la vittima dovrà fare i conti ad un certo punto. È una condizione che comporta un carico importante di frustrazione, rabbia, spesso ansia, paura e stress. La vittima ha bisogno in qualche modo di allentare la tensione, di gestire queste emozioni ma molto spesso non è possibile farlo e il mobbing si sussegue incalzante.

Molti lavoratori infatti, presentano prima del licenziamento vero e proprio tutta una serie di somatizzazioni dello stress che stanno cercando di gestire. Si tratta quindi di manifestazioni fisiologiche con sintomi e malessere associati che il lavorato sperimenta senza che alla base di essi vi sia una causa organica o fisiologica. È la trasformazione e la trasposizione di qualcosa di puramente psichico in una manifestazione organica.

I sintomi possono spaziare dai disturbi dell’apparato digerente (come semplice reflusso gastrico, coliche, fino ad ulcere sanguinanti o stipsi), ai disturbi del sonno con risvegli ripetuti e notti insonni. Molte vittime possono manifestare attacchi di panico e a tutti i disturbi associati ad una cattiva gestione dello stress, incluse cefalee, infarti e ipertensione; altri possono manifestare persino sintomi depressivi o incorrere proprio in patologie depressive. Infine, alcuni lavoratori possono perfino trovare consolazione nell’uso di sostanze stupefacenti o alcol con tutto ciò che ne consegue in termini di dipendenza e ripercussioni sulla salute della persona.

Nell’ambito della salute dei lavoratori esiste un interessante elenco di tutti disturbi segnalati dai lavoratori che hanno subito episodi ripetuti di mobbing. Quelli maggiormente segnalati, in più della metà dei soggetti in esame, sono stati: sintomi depressivi e associati alla sfera dell’umore, disturbi del sonno, deficit di memoria o comunque problemi nella concentrazione, rachialgie, ansia e agitazione e tutta una serie di emozioni e sensazioni negative come insicurezza e paura di fallire, continua irrequietezza e stanchezza, forte solitudine e assenza di supporto da parte dei colleghi, fino a fobie  vere e proprie.

Dal punto di vista dei disturbi psicosomatici, molti lavoratori hanno segnalato:

  • Dolori di stomaco
  • Cefalea o capogiri
  • Oppressione toracica
  • Nausea e/o vomito
  • Incubi
  • Sensazione di “nodo alla gola”
  • Diarrea o stitichezza
  • Pianto frequente
  • Palpitazioni
  • Sudorazione improvvisa
  • Inappetenza
  • Sensazione di “mancanza di respiro”
  • Annebbiamento della vista
  • Debolezza delle gambe
  • Tremori

Disturbo dell’Adattamento

Un altro dei disturbi maggiormente segnalato, sebbene poco conosciuto anche in letteratura, è il “Disturbo dell’Adattamento” come conseguenza dell’esposizione al mobbing.

Il Disturbo dell’Adattamento è un disturbo nella maggior parte dei casi transitorio che compare in seguito ad uno o più eventi o situazioni di stress psicosociale come possono essere appunto i fenomeni di isolamento sociale, bullismo e chiaramente mobbing. Chi mostra sintomi di questo disturbo, esternalizza notevolmente questa sofferenza al punto da essere spesso impossibilitato a lavorare e le ripercussioni dei sintomi si ripercuotono anche sul piano relazionale e sociale.

Per poter fare diagnosi di Disturbo dell’Adattamento, secondo i manuali diagnostici, è necessario che i sintomi si manifestino in maniera continuativa per almeno sei mesi dall’evento traumatico. Il fatto che i sintomi persistano così a lungo nel tempo è indicativo proprio del fatto che il lavorato non riesce ad andare oltre l’evento e ad elaborarlo. Indipendentemente da quanto questo evento sia stato grave.

La gravità dell’evento in sé viene meno perché quello che rende l’evento traumatico saliente è il valore che la persona ci attribuisce. Ad esempio, immaginiamo due lavoratori che propongono un progetto insieme. Immaginiamo che questo progetto sia fallimentare e causi persino la scissione del contratto o dell’incarico da parte del cliente. Immaginiamo una reazione esagerata da parte del capo, come urlare contro i due dipendenti “Siete degli incompetenti, non concluderete mai nulla di buono” e immaginiamo come per uno dei due questa frase non abbia alcun evento, mentre per l’altro non va così. Il secondo lavoratore potrebbe aver dato un valore molto più alto al progetto, e la perdita dell’azienda rappresenta per lui in primis una sconfitta personale, frustrazione e un calo della stima nelle proprie competenze. Immaginiamo inoltre come questa frase gli fosse ripetuta costantemente da uno dei due genitori e questo feedback negativo da parte del capo non abbia fatto altro che riaprire una dolorosa finestra sui ricordi… e avremo così un evento traumatico. Ciò che lo ha reso tale in un lavorato ma non in un altro è il valore e il significato che il singolo individuo ci ha dato, che dipende chiaramente dal proprio modo di affrontare la carriera e dalle motivazioni che spingono a farlo oltre che dal proprio vissuto.

La sofferenza mostrata dal lavoratore si esprime in termini di sintomi:

  • depressivi,
  • d’ansia,
  • disturbi della condotta,
  • somatici,
  • compromissione dei rapporti sociali,
  • compromissione del lavoro.

Il Disturbo dell’Adattamento successivamente, se non trattato e riconosciuto per tempo, può evolvere in depressione vera e propria con conseguenze ancora più lesive per l’individuo.

 

Disturbi del sonno

Innumerevoli casi di mobbing, oltre a patologie come il Disturbo dell’Adattamento, hanno mostrato tutta una serie di sintomi legati alla gestione dell’ansia e ripercussioni anche sulla capacità di rilassarsi e riposarsi. Non è quindi un caso se in tanti lavoratori che hanno subito il fenomeno del mobbing presentino difficoltà a dormire.

Ad esempio, alcuni studi hanno mostrato come almeno la metà dei lavoratori che hanno subito mobbing presentino sintomi legati ad un cattivo riposo, come insonnia e sonnolenza. Nello specifico, uno studio di Punzi e colleghi (2007) ha analizzato il riposo di ben 225 lavoratori con esperienza di mobbing e ha così riscontrato come la compromissione del sonno in questi pazienti fosse evidente:

  • il 72 % ha lamentato risvegli frequenti
  • il 67% mostra difficoltà di addormentamento
  • il 65% ha dichiarato di svegliarsi prima della sveglia
  • il 56% ha segnalato un sonno disturbato da sogni e pensieri sgradevoli

è però necessario sottolineare come certi disturbi possano essere legati o associati anche a patologie concomitanti i fenomeni di mobbing (come ne caso del Disturbo dell’Adattamento). Ciononostante, è piuttosto conclamata la difficoltà di questi lavoratori nel riposare adeguatamente.

Sebbene il fenomeno di mobbing sia discretamente recente e poco riconosciuto, lo stato permette al lavoratore in difficoltà, costretto a fronteggiare il fenomeno all’interno del contesto lavorativo, di tutelarsi essenzialmente in tre modi:

  1. Dal punto di vista costituzionale
  2. Dal punto di vista civile
  3. Dal punto di vista penale

La costituzione

Questo è il primo strumento utile a cui un lavoratore può affidarsi, infatti è nella costituzione stessa un importante strumento di tutela del lavoro. L’articolo 32 infatti, non solo riconosce, ma soprattutto tutela la salute come un diritto fondamentale dell’uomo. Chiaramente, come abbiamo ampiamente visto nella precedente lezione relativa ai disturbi associati al fenomeno, il mobbing oltre a rappresentare una semplice condizione di disagio, va a ledere in maniera importante la salute del lavoratore.

L’articolo 35, invece,tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni e, infine,l’articolo 41 vieta lo svolgimento delle attività economiche private che possano arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Laddove il fenomeno comporta innumerevoli umiliazioni lavorative, da insulti a mansioni umilianti, si sta andando contro quest’ultimo articolo della nostra costituzione.

Il codice civile

Finora la tematica della tutela del lavoratore è stata considerata solo da punto di vista teorico, ma dal punto di vista pratico il codice civile offre effettivamente delle leggi che permettono al lavoratore di tutelarsi praticamente dal fenomeno.

  • L’articolo 2043 in primo luogo prevede l’obbligo di risarcimento ad altri laddove questi hanno subito un danno ingiusto con qualunque fatto doloso o colposo, indipendentemente dalle ragioni che hanno spinto a commettere questo danno.
  • L’articolo 2087 impone all’imprenditore o comunque all’azienda di fornirsi di tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e quella morale di lavoratori. Ovvero è necessario che il datore di lavoro e il contesto mettano il lavoratore nelle condizioni adeguate per lavorare, si tratta del rispetto della sua salute e di una legge che va a preservare i diritti inviolabili del lavoratore sulla base dei principi costituzionali prima visti.

Esistono inoltre una serie di legge speciali e specifiche, che sono state rielaborate a partire da precedenti norme proprio in visione del fenomeno del mobbing.

  • Nello Statuto dei lavoratori, all’interno della parte relativa alla specifica procedura per le contestazioni disciplinari a carico dei lavoratori è infatti presente un’importante nota circa lapunizione dei comportamenti discriminatorimessi in atto da parte del datore di lavoro.
  • In maniera un po’ più generale, è possibile riscontrare anche un’ulteriore tutela normativa all’interno delTesto unico, in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Il codice penale

Il nostro ordinamento ha riconosciuto il fenomeno nella sua gravità e lesività del lavoratore e, per queste ragioni, ha deciso di tutelare il lavoratore e punire il mobber anche da un punto di vista penale, sebbene non esista una specifica figura di reato.

I comportamenti mobbizzanti, infatti, se raggiungono determinate condizioni, come nel caso del mobber che si scaglia violentemente contro la vittima, o nel caso della diffamazione, possono comportare delle conseguenze riconducibili al reato di lesioni personali tutelato all’interno del codice penale dall’articolo 590.

 

Inoltre, la legge italiana in alcuni casi permette al lavoratore vittima di fenomeni di mobbing di ottenere anche un risarcimento:

Per far sì che questo avvenga sarà però necessario citare in giudizio il mobber. Presentando il giudizio dinanzi al giudice civile sarà possibile accertare le responsabilità da parte del capo o collega che ha messo in atto condotte di mobbing, e una volta accertata la colpa sarà possibile stabilirne la condanna e quindi anche risarcimento per le sofferenze subite dalla vittima di mobbing.

Va inoltre sottolineato che quando si parla di tipologie di danno per le quali il giudice può disporre il risarcimento, abbiamo a che fare con un ampio raggio di danni possibili e questi possono essere relativi sia alla sfera che a danno di tipo non patrimoniale.Il mobbizzato, infatti, può essere risarcito innanzitutto per le condotte subite che non hanno avuto conseguenze dal punto di vista patrimoniale come nel caso delle condotte persecutorie, che vanno invece valutate globalmente dando rilevanza alla lesione della salute psico-fisica della vittima, alla sofferenza morale causata all’individuo da queste condotte e al possibile peggioramento delle sue condizioni di vita, in termini di danno esistenziale.

Come dicevamo, il risarcimento può inoltre essere relativo a danni patrimoniali veri e propri laddove le condotte di mobbing possano causare perdite alla vittima dal punto di vista economico.

Ad esempio, se la vittima è stata costretta a sostenere delle spese mediche, farmaceutiche o persino per visite specialistiche richieste per valutare e risolvere patologie associate o derivanti dal mobbing come nel caso della depressione o, anche solo nel caso in cui le professionali andassero ad inficiare la produzione e il ricavo economico della vittima nel caso di inattività forzata del lavoro o della compromissione del’ immagine professionale, alla vittima spetterebbe il risarcimento.

Ovviamente è importare prevenire questi episodi cercando di creare un clima positivo e di crescita collaborata in azienda. Tutte quelle aziende o contesti lavorativi che puntano sull’ aggressività del lavorato o sull’ imposizione sul mercato produttivo attraverso la competizione, sbaglia notevolmente perché crea così un clima negativo all’ interno dell’azienda e spaccia per “valori” portanti del contesto, comportamenti che in realtà favoriscono solo il fenomeno.

Quando ormai però il fenomeno ha pervaso un contesto lavorativo, non si può più pensare alla prevenzione, è invece necessario correre ai ripari fornendo soprattutto al lavoratore vittima delle strategie per tutelarsi.

In un recente lavoro, Hogh e Dofradottir (2001) hanno infatti suggerito come esistano ed è necessario che vengano messe in atto da parte della vittima a livello personale, una serie di strategie di coping per non soccombere al fenomeno.

Quando parliamo di coping, essenzialmente ci riferiamo agli sforzi cognitivi e comportamentali che un lavoratore deve mettere in atto per padroneggiare, ridurre o tollerare le esigenze interne e / o esterne che sono create da una situazione stressante come può esserlo il subire le condotte di mobbing.

Queste strategie possono essere svariate e dipendere molto da contesto a contesto, nonché dalla gravità del fenomeno, ma solitamente, molti lavoratori mobbizzati per gestire il fenomeno sono ricorsi alle seguenti soluzioni:

  1. Contattare il proprio superiore per segnalare il fenomeno e sperare in una presa di posizione
  2. Contattare i sindacati per ottenere supporto sia per la vittima, che per tutelare la famiglia della vittima
  3. Affrontare direttamente il mobber

È da sottolineare come innumerevoli studi hanno dimostrato che la maggior parte delle vittime in realtà, non ricorre a nessuna di queste strategie e tende piuttosto a cercare di ignorare il problema o a fuggire dal problema, abbandonando il proprio lavoro con richieste di malattia o licenziamenti.

Quando la vittima però si sente impotente al punto di decidere di abbandonare il contesto lavorativo o non ha un adeguato supporto sociale per fronteggiare il fenomeno, si può ricorrere a soluzioni e ad una gestione meno efficace che funge però ugualmente da cuscinetto e permette di ammortizzare, sebbene in parte, le conseguenze sull’individuo:

  1. Eludere – la vittima accetta inconsciamente il suo destino o cerca di pensare e focalizzarsi su altro
  2. Usare l’umorismo – la vittima cerca di vedere il lato divertente della cosa e questo permette di allentare la tensione creata o di vedere le cose da un altro punto di vista. Permette cioè di disinnescare il fenomeno.
  3. L’ironia – è molto spesso usata dalla vittima più audace e con una buona autostima per contrare e rispondere direttamente al mobber.

Quando il fenomeno è stato invece sedato o, meglio, ancor prima che si verifichi, come dicevamo all’inizio è necessario focalizzarsi sulla prevenzione del fenomeno. A tal fine Demirag e Ciftci(2017) suggeriscono una serie di raccomandazioni individuali e istituzionali per evitare la diffusione del fenomeno tra i lavoratori:

Raccomandazioni individuali

  • evitare lo scontro, è fondamentale nel contesto lavorativo mantenere un clima adeguato e rispondere in maniera assertiva ai propri colleghi
  • informare correttamente i dirigenti dell’azienda di quello che sta avvenendo, anche laddove si tratti di manifestazioni minime e non ancora protratte nel tempo
  • Produrre prove come scritti, note, massaggi, e-mail che dovrebbero essere conservate e salvate
  • Negoziare con i colleghi testimoni e ottenere il supporto sociale necessario per contrastare il fenomeno

Raccomandazioni istituzionali

  • Le istituzioni dovrebbero sviluppare politiche di prevenzione di abusi / molestie psicologiche
  • Sono necessarie attività informative ed educative rivolte a dipendenti e dirigenti circa la tematica del mobbing e degli abusi sul posto di lavoro
  • Designazione di punizioni disciplinari e l’istituzione di percorsi di riabilitazione per vittime e mobber
  • Dovrebbero essere prese in considerazione tutte le denunce di mobbing e sviluppate soluzioni
  • Dovrebbero tutelare adeguatamente la privacy durante le indagini sulle accuse di mobbing

Oltre a queste raccomandazioni, inoltre, un’azienda al fine di fornire salute e sicurezza sul lavoro e anche di creare un ambiente di lavoro pacifico, dovrebbe proteggere i dipendenti da abusi / molestie psicologiche anche attraverso norme interne all’azienda. La prevenzione quindi, come nel caso delle malattie, è più efficace e gli investimenti relativi rappresentano una spesa meno dispendiosa dalle perdite derivanti dal fenomeno stesso.